Nel corso del 2019 appena archiviato, in tema di personale sanitario e più in generale di sanità, si è detto e scritto tanto. Molte le questioni aperte sulle quali si è dibattuto da più parti con serietà e convincimento, per migliorare l’attuale condizione della sanità nel nostro Paese. Sulle medesime questioni, però, tanti avrebbero fatto meglio a tacere e meglio ancora a non scriverne, in quanto, il qualunquismo e la demagogia hanno prevalso nel modo di affrontarle.
Nella bolla social-media, si assiste a stoltiloqui dove la logica e la chiarezza si sono trasformati in un rumore di fondo indistinto, spesso condito con violenza verbale. Sterili invettive e frasi senza senso che, trattano questioni complesse di interesse generale con assoluto familismo, mentre esse reclamano analisi, riflessioni e ponderazione. Si utilizzano tutti i mezzi per stravolgere la realtà, senza dover fornire alcuna prova. Dal celeberrimo comma 566 a oggi, un crescendo rossiniano di stupida contrapposizione.
Un gorgo mediatico, nel quale la corretta informazione sanitaria viene fatta vorticare con altro tipo di informazione che tanto assomiglia ai borborigmi intestinali. Dal mio punto di vista, ossia quello di infermiere, tutte cose, che vengono dette da anni, ma nessun vero argine difensivo è stato costruito per reagire alle ondate di falsità e fantasie che continuano ad essere asperse e propinate da molti, soprattutto sul web.
Questo modo di informare ha ormai segnato un solco inaridito, nel quale lo scontro tra medici e infermieri ad esempio, ha ormai raggiunto livelli a dir poco vergognosi. Ci vuole poco a distruggere, ma a ridare la fiducia e la speranza si fa molta più fatica. Non è più una sensazione quella di assistere ad una guerra fra bande, ma in taluni casi, inizia ad insinuarsi oltremodo nell’ambito delle professioni sanitarie.
Molti, sono avidamente connessi ad una realtà virtuale, ma profondamente disconnessi dalla realtà delle corsie e del territorio, che ormai sono teatro di un’unica rappresentazione dal titolo: “L’Abbandono”. La volontà di reagire e di lottare per la professione, deve essere patrimonio comune. Per citare il Prof. Fusaro, altro che “globalizzato”, anche l’infermiere è un lavoratore “glebalizzato”.
Certamente, i problemi irrisolti continuano da anni ad essere affrontati dalla Politica con una stanca liturgia, indicando soluzioni soporifere. Ma, il sindacato che condivide tutto quello che è stato fatto, che fa deboli accordi, che firma miseri contratti, evidentemente, o ha difficoltà ad elaborare una propria linea di pensiero da poter condividere, oppure piace albergare nel “palazzaccio” del potere. Quello che rimane è ancora una profonda inazione.
Queste incapacità, queste situazioni insostenibili, (come quelle di affermare che nel nostro Paese vi sono situazioni eccellenti in sanità; quello che il paese non è tutto eguale; che è profondamente disomogeneo), sono artatamente mantenute in essere dalla Politica, non esplicitamente, ma in maniera eristica. Tutto ciò, non per fornire soluzioni ma per alimentare uno scontro, che produce progressivi danni nel tessuto sociale del paese, stimolando tensioni e odi rancorosi, destinati a dare colpi esiziali sullo stato sociale e sulla sanità.
Per gli infermieri, che in sanità rappresentano il 58,7%, è giunto il tempo per diradare la caligine che offusca, riuscire ad analizzare la propria storia cercando di capire il perché degli errori commessi e come evitarli in futuro. Non basta creare movimenti o slogan sulla nostra professione all’interno del sistema sanitario. Bisogna comprendere chi può fare previsioni, stabilire strategie, indicare una direzione precisa che deve portare a modificare la situazione, che oggi prevede la legittima ambizione di crescita con zero risorse.
Viviamo un momento nel quale, anche la giurisprudenza e la produzione normativa legata alla responsabilità sanitaria, ha subito continui cambiamenti. Gli infermieri non possono essere solo un titolo, sono ben altro. E’ tempo di costruire una coscienza sociale di tutte le professioni sanitarie, che costringa il Governo della Sanità a risolvere o regolare aspetti di responsabilità, in modo da rispondere alle esigenze di tutela e al pieno riconoscimento della professione.
Una professione, quella infermieristica, che ha le cinture ben allacciate, che sa guidare, pronta da anni a partire per il proprio viaggio, rimane inesorabilmente e sostanzialmente in sosta con le quattro frecce accese nel limbo di una annosa lista d’attesa. Un viaggio sognato e mai cominciato, visto solo nel depliant pubblicitario quale è il contratto di categoria, che nella sua vera e ordinaria applicazione si è rivelato un disdoro per la professione
Spero che il 2020, indicato dall’OMS come anno dell’infermiere, possa far accrescere ancor più la consapevolezza che la nostra professione benché rivesta un ruolo centrale nell’ambito della cura delle persone, continui ad essere relegata ai margini del sistema sanitario e non viva ancora costretta a voli pindarici, come garantire competenze estremamente avanzate e nel contempo “compensare” le incombenze domestico alberghiere nell’indifferenza pressoché generale.
Noi siamo la faccia più riconoscibile e più presente della sanità italiana; diamo ogni giorno forma e sostanza alla cura e già questo vale per reagire e lottare.
Auguro, un sincero Buon 2020 a tutti i colleghi/e nonchè ai vostri affetti, in particolare a chi, come sempre e non solo per le festività, sarà in corsia con impegno e dedizione vicino alle persone che hanno bisogno.
Emilio Benincasa
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